Raccontaci qualcosa di te. Chi è Seedy?

Mi chiamo Seedy. Vengo dal Gambia e sono qui in Italia dal 2016.

Lavoro da Gucci, ormai da quasi 5 anni.Mi occupo di risuolatura e riparazione delle scarpe in una sede dell’azienda in Toscana, in un piccolo comune in provincia di Firenze. 

Ho scelto di lasciare il Gambia a soli 16 anni perché avevo un problema in famiglia e volevo un futuro migliore rispetto a quello che il mio Paese avrebbe potuto darmi.

Il viaggio è stato molto difficile e ho vissuto cose mai viste prima: sono stato in prigione, catturato senza motivo per la strada e portato in posti nascosti. Più e più volte militari e controllori mi hanno chiesto dei soldi per essere liberato o per passare il confine da un Paese africano a un altro. Se non hai nessuno che ti possa aiutare in questi momenti, ti tocca stare dentro le carceri a lungo, esser trattato molto male e subire atti gravissimi.  Ho superato tutto, sono arrivato in Libia e qui sono rimasto un anno.

Ho poi scelto di prendere un barcone. Non potevo tornare indietro, restare lì era terribile e non avevo altre possibilità se non muovermi verso l’Italia: era l’unica strada per arrivare in Europa.

Perché scegliere di venire in Italia in maniera irregolare e con un viaggio così difficile?

Arrivare in Europa in passato non era così e, per farti un esempio, so che era molto più semplice ottenere un visto per raggiungere l’Italia. Pian piano la situazione è peggiorata, e non so neanche dirti perché. 

Oggi è molto raro che tu riesca ad ottenere i documenti per viaggiare in maniera regolare e, in automatico, scegli la via irregolare. Sembra che la migrazione sia diventata negli anni una sorta di business sulle spalle di quei giovani, e meno giovani, che vogliono provare a dare delle possibilità diverse alla loro vita.

A volte mi chiedo “Ma perché io, Seedy, per lasciare il Gambia e venire anche per un breve periodo in Italia non ottengo i documenti e tu, europea, hai bisogno solo del passaporto per venire nel mio Paese?”

Qual è stata la cosa più difficile per te una volta in Italia, dopo questo percorso tra sofferenze e grossi traumi?

Sono cresciuto in un posto che credeva che l’Europa fosse la salvezza. Entrando qui ho scoperto che le cose non stavano proprio come pensavamo.

È stato molto difficile il mio ingresso in Italia: non conoscevo nessuno, non conoscevo la lingua italiana e avevo tante cose in mente che portavo da quel lungo viaggio. Stavo parecchio male.

Sono stato in diversi centri d’accoglienza e non riuscivo a essere concentrato, a star bene e a ragionare sulle cose da fare. È passato un po’ di tempo per capire come funzionasse il sistema italiano e sono grato al Centro di accoglienza che mi ha offerto il supporto di una giovane psicologa.

Lei mi era spesso accanto, anche quando andavo a scuola. Due tre volte alla settimana parlava con me e cercava di capire come andavano le mie giornate.  Mi ha aiutato tantissimo e mi ha restituito il coraggio di andare avanti e di credere in me stesso!

Ho ripreso la mia motivazione e ho iniziato a studiare e a seguire un corso di pelletteria. Dopo due anni ho preso il mio permesso di soggiorno e ho ricominciato a vivere.

Cosa vuol dire non ottenere un documento?

Avere un documento è molto complicato, anche rinnovarlo a dire il vero.

Quando arrivi in Italia in maniera irregolare non hai un documento che dice chi sei. Ti ritrovi più volte di fronte a una commissione che ascolta la tua storia e alla quale devi spiegare perché hai lasciato il tuo Paese, raccontando delle tue motivazioni e della tua vita.

Questa storia può essere accettata e compresa, e allora ottieni un documento per qualche anno, e altre volte invece ti tocca raccontarla nuovamente, ricevere un rifiuto e aspettare. Passano anche 4-5 anni e tu non sai più chi sei. Senza un documento non puoi fare nulla.

Come fai a lavorare regolarmente? Come puoi affittare una stanza? Come fai viaggiare?

E senza un lavoro, non hai nemmeno i soldi per cibo o per un affitto. Come fai a sopravvivere?

Tanti ragazzi oggi vivono per strada. Tanti altri scelgono di lavorare nelle campagne in nero per 4 o 5 euro l’ora.

Rispetto a quanto hai vissuto, quali soluzioni proponi rispetto ai problemi legati all’accoglienza?

La cosa più importante fra tutte è sicuramente aiutare i ragazzi a studiare la lingua italiana.

Ci sono tante organizzazioni e centri che ti accompagnano in questo percorso, ma esiste anche una buona parte della società che non lo fa. Oltre ai corsi in lingua italiana, servirebbero percorsi e indicazioni che ti possano aiutare a capire cosa fare una volta in Italia.

A volte le situazione interne ad alcuni centri sono bruttissime. Io posso dire di essere stato molto fortunato, ma tanti amici mi hanno raccontato di non ricevere sempre i pasti o i vestiti, vivendo anche in ambienti freddissimi e a volte con problemi di corrente elettrica.

Maggiori controlli nel sistema d’accoglienza sono un passo importante e necessario !

La gente non ti crede quando racconti queste cose e non sarà mai possibile da soli risolvere questo problema. Tanti ci guardano come nemici. Per fortuna ci sono però anche tante altre persone che ci capiscono e ci credono.

Sono certo che insieme, e non da soli, in questo cammino saremo più forti.