Può raccontarmi brevemente il suo percorso educativo? Dove e cosa ha studiato?
Sono nata e cresciuta in Iran, dove ho completato tutti i miei studi: liceo, laurea, master e dottorato. Dopo il liceo, ho partecipato all’esame di ammissione universitaria e sono stata ammessa al corso quadriennale di ostetricia. Non ho ricevuto alcun sostegno durante i miei studi. Come rifugiata afghana in Iran, non avevo diritti aggiuntivi; il fatto di poter partecipare all’esame di ammissione è stato per me già un immenso traguardo.
Ho terminato la mia laurea, ma prima di discutere la mia tesi di dottorato sono stata espulsa a causa di questioni legate all’hijab. La mia professoressa in Iran ha visto delle foto che avevo pubblicato su Facebook senza hijab e mi ha detto che ero una studentessa indegna.
Che cosa l’ha spinta a intraprendere il percorso di studi in ostetricia? Aveva in mente un obiettivo specifico o un sogno professionale?
La mia decisione di studiare ostetricia è stata motivata da un evento tragico: una delle mie nipoti è morta a causa di complicazioni durante un parto in Afghanistan. Viveva in una zona remota chiamata Daikandi, le strade accidentate e le distanze le hanno impedito di poter raggiungere il presidio medico. È morta a causa di una grave emorragia dopo il parto. Questo episodio ha acceso in me il desiderio di tornare in Afghanistan per aiutare le donne più svantaggiate.
Non avevo mai visto l’Afghanistan, ma il mio destino di rifugiata era legato alla mia terra di origine; volevo lavorare per ridurre la mortalità materna e infantile. Uno dei miei sogni più grandi era aprire una Scuola di Ostetricia in Afghanistan e formare più ostetriche per aiutare le donne. A quell’epoca non potevo ancora farlo perché ero una studentessa, ma dopo aver terminato la laurea sono andata in Afghanistan e ho iniziato a lavorare presso l’ospedale Chirag Ali Chirag di Kabul.
Fino a quel momento, nel 2008, in Afghanistan non avevamo ostetriche laureate; forse ce ne erano 4 in tutto il Paese. Dopo aver lavorato nell’ospedale per due anni, mi sono resa conto che le ostetriche afghane dovevano specializzarsi. Sono tornata in Iran e ho iniziato a studiare per un master al Tarbiat Modares College di Teheran. Per poter iniziare un corso di laurea in ostetricia, dovevamo prima avere un livello di istruzione più elevato. Dopo aver completato il mio master, sono tornata in Afghanistan.
Dopo due anni, ho deciso di tornare ancora una volta in Iran per proseguire con un dottorato e acquisire maggiori conoscenze. Ho anche aperto una clinica privata a Kabul, visitavo regolarmente anche le zone rurali come Daikandi, per fornire assistenza diretta.
Una volta in Italia, vuole condividere i passaggi che ha compiuto per far riconoscere il suo titolo?
Ho tradotto in italiano tutti i miei documenti e certificati, li ho fatti approvare in tribunale e poi al Ministero degli Affari Esteri per ottenere la dichiarazione di valore. Successivamente, ho presentato i documenti tradotti e originali al comune di Frascati per le copie conformi. Tutti questi documenti, insieme alla copia della carta d’identità, del permesso di soggiorno e alla marca da bollo, sono stati inviati al Ministero della Salute italiano. Dopo circa tre mesi, mi hanno chiamato per verificare i documenti.
Nonostante il riconoscimento dei miei titoli, non ho potuto lavorare in ospedale. Questo è stato estremamente scoraggiante, soprattutto dopo tre anni di tentativi. Purtroppo, non ho trovato alternative e mi sono sentita bloccata.
Quanto è stato difficile, dal punto di vista emotivo, affrontare queste difficoltà?
Affrontare queste difficoltà è stato emotivamente molto provante. Spesso mi sono sentita scoraggiata, soprattutto perché tutti intorno a me dicevano che il processo era impossibile. Tuttavia, ho cercato di superare ogni ostacolo. Nonostante l’approvazione del mio certificato, il sistema italiano non mi ha permesso di lavorare come desideravo.
Ha trovato assistenza in Italia per affrontare questo percorso?
Ho ricevuto aiuto dal CIR e dalla Comunità Salesiana per la traduzione dei documenti. (La Dott.ssa Favale, che lavora nell’ASL6 Roma, è stata di grande supporto per verificare i miei titoli). Le maggiori difficoltà sono state: la mancanza di denaro, la scarsa conoscenza della lingua italiana e la complessità burocratica. Inoltre, molti enti pubblici volevano aiutarmi ma non avevano le competenze per farlo efficacemente.
Se avesse la possibilità di migliorare il sistema di riconoscimento dei titoli, quali cambiamenti proporrebbe?
Se i ministeri creassero un dipartimento apposito per dare informazioni dirette alle amministrazioni o ai rifugiati, le procedure avrebbero un accesso più percorribile. Potrebbero anche produrre dei manuali per i profughi che esemplificano le procedure, tradotti in più lingue. Per noi il problema principale è stato che anche gli enti e le associazioni non avevano informazioni sul processo di identificazione dei documenti e non sapevano a chi o a quale gruppo rivolgersi presso i Ministeri. Il processo di riconoscimento dei titoli è relativamente lineare una volta individuata la procedura corretta. Tuttavia, il problema principale è trovare lavoro dopo il riconoscimento.
Sulla base delle sue esperienze in Italia, ostacoli e soluzioni, quali azioni ha deciso di intraprendere per aiutare altri rifugiati?
Sulla base delle mie esperienze in Italia, ostacoli e soluzioni, nel 2022 ho deciso di creare con la mia amica Sediqa Mushtaq un gruppo informativo su WhatsApp.
Lì forniamo ai rifugiati tutte le informazioni su bonus, servizi sociali, percorsi di accompagnamento per problemi di salute, servizi sociali e salute per i bambini in forma testuale e immagine con appositi link. Forniamo alle persone informazioni su tutti i tipi di contratti di lavoro e tutti i tipi di contratti di affitto di case, sull’acquisto di libri per la scuola dei bambini, ecc.
Ultimamente, abbiamo inserito informazioni su come fare un viaggio low cost in alcune città italiane, come prenotare un albergo e che tipo di biglietto del treno o dell’autobus acquistare per un viaggio in modo che possano anche vivere qualche bella esperienza.
****
“In questi anni di esperienza maturata con le rifugiate afghane in Italia, sono stati progressivamente creati progetti e strumenti sempre più mirati ai loro bisogni specifici. Questo ha portato alla formazione di un gruppo di donne altamente qualificate e determinate, che vogliono diventare motore di cambiamento, portando alla luce attraverso le loro voci la realtà del loro Paese d’origine, in particolare la condizione delle donne. La loro speranza è contribuire alla ricostruzione e allo sviluppo di un Afghanistan pacifico e inclusivo.”- Flavia Mariani, Communication & Media Relations at NOVE Caring Humans.
In collaborazione con il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), Novecaringhumans ha avviato un progetto di formazione in comunicazione e advocacy, pensato per un gruppo selezionato di rifugiate afghane. Questo “dream team” è impegnato in azioni di sensibilizzazione sui diritti umani e sulla diversità culturale, con un focus specifico sul riconoscimento del gender apartheid come crimine e sulle sfide legate all’inclusione e all’accoglienza in Italia. Il progetto mira a rafforzare le loro competenze affinché possano rappresentare e amplificare le voci delle loro compatriote e della diaspora afghana, contribuendo al dialogo e alla consapevolezza a livello internazionale e locale.